Il rifiuto da parte dei sindacati di firmare il contratto decentrato del Comune di Vicenza è una notizia che dovrebbe preoccupare e far riflettere tutti, non solo gli addetti ai lavori e non certo per gli aspetti politici legati alle relazioni sindacali.
Prima di capire perché, vediamo cosa è successo. Nel tentativo di arginare la fuga di professionalità verso altri enti che garantiscono trattamenti economici più favorevoli, l’amministrazione ha proposto di aumentare la retribuzione dei funzionari responsabili degli uffici, incontrando l’opposizione dei sindacati che puntano invece all’aumento degli stipendi di tutti i dipendenti attraverso le progressioni economiche previste dal contratto nazionale. Peccato che la coperta sia corta, perché il fondo da cui attingere le risorse è lo stesso, quindi per aumentare da una parte è necessario tagliare dall’altra.
Il tema delle risorse che il settore pubblico investe sul proprio capitale umano, cioè sulle persone che lavorano negli uffici pubblici garantendo la qualità dei servizi erogati, è oggi al centro del dibattito sulla cosiddetta “transizione amministrativa” che, insieme alle più celebri transizioni in atto, quella digitale e quella ecologica, è uno degli obiettivi strategici del PNRR in quanto fattore abilitante per la realizzazione di altre importanti riforme in ambito economico e sociale.
Questa vicenda, quindi, accende anche in città un riflettore sulla capacità – o meglio sulla volontà – di investire sulle persone che ogni giorno assicurano l’erogazione dei servizi comunali, ciascuna delle quali è portatrice di idee, aspettative ed esigenze che un buon management è chiamato a valorizzare, perché se le persone lavorano in un contesto che non favorisce la realizzazione personale e la crescita professionale, è più difficile che l’organizzazione funzioni in modo efficace.
In uno scenario in cui il mitico “posto fisso” ha perso buona parte del fascino che ha esercitato per anni, consentendo in passato al settore pubblico di reclutare persone senza particolari sforzi né difficoltà, sviluppare il capitale umano significa saper attrarre e mantenere al proprio interno le competenze e le professionalità necessarie ad assicurare, da un lato, il funzionamento degli uffici pubblici e, dall’altro, i processi di innovazione e cambiamento in atto. Peccato che oggi le risorse più qualificate disponibili sul mercato del lavoro considerino poco remunerativo – non solo in termini economici – investire in una carriera nel settore pubblico.
Ecco perché sarebbe un errore derubricare il mancato accordo sul contratto decentrato dei dipendenti comunali a normale dinamica nei rapporti tra lavoratori e datore di lavoro. Il rifiuto opposto dai sindacati, seppur basato su un dato economico, contiene infatti la difesa del valore del capitale umano rappresentato dalle persone che lavorano in Comune, che sono un patrimonio per tutti i cittadini che quotidianamente usufruiscono dei servizi comunali, prima ancora che una risorsa per gli amministratori.
In questo senso dobbiamo tutti augurarci che questa vicenda si concluda con il riconoscimento della necessità di investire maggiori risorse nello sviluppo del capitale umano del Comune, entro i limiti delle capacità di spesa, ma anche ricercando possibili economie da destinare a quel fondo che altrimenti continuerà ad essere una coperta troppo corta.