Ius scholae, una lettura economica e demografica del tema

Ius soli o ius scholae? Messa così sembra una disputa accademica per addetti ai lavori, un po’ polverosa, quasi medievale, forse per l’inevitabile evocazione di quello ius primae noctis di feudale memoria rimasto impresso in qualche ricordo, ormai lontano, della storia studiata sui banchi di scuola.

La domanda riguarda invece una questione di grande attualità – quella dell’integrazione di tanti giovani immigrati di seconda e terza generazione – resa più pressante nelle ultime settimane dalla ribalta mediatica guadagnata grazie alla proposta del ministro degli esteri (e leader di Forza Italia) Antonio Tajani di introdurre in Italia lo ius scholae, riaccendendo il dibattito politico sulle regole per acquisire la cittadinanza italiana.

Vediamo anzitutto di cosa si tratta. Lo ius scholae è l’idea di “dare la cittadinanza italiana dopo un percorso lungo dieci anni di studio certificato e superato con profitto e l’ottima conoscenza della lingua, della storia e della geografia della nostra nazione, come ha spiegato lo stesso ministro Tajani. La proposta va ad aggiungersi – e in qualche modo a contrapporsi – a quella dello ius soli che invece prevede l’acquisto della cittadinanza per il semplice fatto di essere nati in Italia, a prescindere dalla nazionalità dei genitori.

Sul piano politico la proposta ha suscitato forti polemiche e scatenato le opposte tifoserie, trovando inevitabilmente eco anche a livello locale, ma rendendo al tempo stesso evidente il fatto che le posizioni ideologiche e la ricerca del consenso sono chiavi di lettura limitate e strumenti di confronto inadeguati rispetto al tema dell’integrazione, che risulta centrale in una visione politica e strategica di lungo periodo per il futuro dell’Italia e dell’Europa.

Le politiche di integrazione hanno un impatto sociale, ma soprattutto economico che va tenuto in considerazione nel dibattito pubblico e nelle scelte governative sulle reali capacità di accoglienza, le regole per la permanenza e le modalità di acquisizione della cittadinanza. Si tratta infatti di aspetti che incidono anche sulla sostenibilità economica di servizi pubblici – a partire dalla sanità per finire alla previdenza, passando dall’istruzione – che già soffrono alcuni limiti e mostrano, in prospettiva, criticità importanti per la tenuta del sistema.

Gli impatti economici delle dinamiche demografiche e dei flussi migratori non sono un mistero: ne ha parlato recentemente anche il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, osservando che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di persone in età lavorativa e aumenterà il numero degli anziani (oggi in Europa il rapporto è di circa tre a uno, nel 2050 sarà meno di due a uno).

La questione del capitale umano non si limita, tuttavia, alla forza lavoro che sarà necessaria al sistema economico per mantenere adeguati livelli di produttività e ricchezza – e qui si innesta il problema del bilanciamento tra esigenze produttive ed equilibri sociali creato dall’afflusso di lavoratori stranieri regolarima si estende al tema dell’allargamento della cittadinanza – e qui si innesta il problema della decrescita demografica, perché una popolazione che decresce determina nel lungo periodo problemi di sostenibilità economica in ambiti quali il lavoro, la previdenza e l’assistenza sanitaria.

Perché di questo stiamo parlando, dell’ampliamento della base sociale della cittadinanza, cioè non di chi vive in Italia, ma di chi risiede nel nostro Paese diventandone, a tutti gli effetti, cittadino, con tutti i diritti e i doveri previsti dalla Costituzione.

Lo ius scholae – ma vale anche per lo ius soli – è uno dei modi possibili per diventare cittadini italiani, a prescindere dalle origini straniere della persona o della sua famiglia di origine. In una società che negli ultimi decenni ha conosciuto profondi cambiamenti sociali ed economici – e che sta tutt’ora attraversando importanti fasi di transizione – siamo sicuri che la discussione sulle regole che disciplinano questo processo sia solo una questione di posizioni ideologiche e di ricerca del consenso?

Difficile non scorgere i rischi insiti in un approccio puramente politico-ideologico al tema della nuova cittadinanza, che pure si presta a valutazioni critiche e approfondimenti che, tuttavia, non possono (e non devono) trascurare gli aspetti legati alla sostenibilità sociale ed economica delle scelte che si prefigurano, al di là del semplice meccanismo di acquisizione della cittadinanza, che poco rileva a fronte delle implicazioni della composizione della base sociale di una comunità.

L’esperienza dei modelli di integrazione a lungo considerati virtuosi come l’Olanda, la Svezia e altri paesi scandinavi – che oggi si trovano tuttavia a fronteggiare emergenze che inducono i governi ad incentivare economicamente il rientro degli immigrati nei paesi di origine – induce infatti a procedere con consapevolezza e discernimento, scevri da influenza ideologica, soprattutto in un contesto già fortemente connotato dalla crescente presenza di stranieri (oltre 5 milioni in Italia a fine 2022, secondo l’Istat), in molti casi già perfettamente integrati, ma in altri tristemente protagonisti di attività criminali.

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