È una tentazione ricorrente, per chi sta al governo. Far pesare di più i propri successi dopo una tornata elettorale. Chiedere «più spazi». E magari, approfittarne per fare un tagliando alla squadra dell’esecutivo. Ci passò nel 2016 Matteo Renzi da capo di Palazzo Chigi. E prima toccò (più volte) pure a Silvio Berlusconi rivedere le compagini ministeriali dei suoi governi. Tra un paio di mesi la stessa sfida potrebbe aprirsi per Giorgia Meloni.
Dopo le Europee, quando dalle urne potrebbero uscire nuovi rapporti di forza tra i partiti di maggioranza. E soprattutto, quando qualcuno dell’attuale squadra potrebbe essere destinato a Bruxelles, per appuntarsi al petto i galloni di commissario europeo.
Le voci si rincorrono. E c’è chi parla di colloqui preventivi con il Quirinale per sondare il terreno, azzardando l’ipotesi di numerosi ministeri da riassegnare. Ma c’è un’altra ipotesi, più realistica: le “sostituzioni” in campo, se ce ne saranno, potrebbero non essere così corpose. E limitarsi allo stretto necessario. Due casi: la ministra del Turismo Daniela Santanchè, qualora decidesse di dimettersi per le inchieste su Visibilia (lei stessa ha aperto a questa possibilità in caso di rinvio a giudizio), e il titolare degli Affari Europei Raffaele Fitto. Che lascerebbe solo in caso di promozione, ossia per rappresentare l’Italia nel prossimo esecutivo Ue.
Del resto era stata la stessa Giorgia Meloni, solo pochi mesi fa, a troncare ogni possibilità. «Un rimpasto? Mai», le parole della premier affidate a Bruno Vespa lo scorso novembre. «Voglio battere un altro record: finire la legislatura con lo stesso governo con cui l’ho iniziata. Sarebbe la prima volta nella storia repubblicana. Silvio Berlusconi è stato a Palazzo Chigi cinque anni, ma con due governi diversi». E il motivo, al di là di puntare al «record», è semplice: rimettere mano pesantemente alla squadra, per questo come per altri governi, sarebbe un po’ come aprire un vaso di Pandora. Si sa come si comincia, non come (e quando) si finisce con le trattative. E soprattutto si rischia di scontentare gli alleati, che potrebbero non vedere di buon occhio un riequilibrio tarato sui risultati delle Europee.
Forza Italia e Lega oggi contano cinque ministri ciascuno, Fratelli d’Italia 10. Chiederne di più per i meloniani potrebbe aprire a malumori dei partiti più piccoli. Così come l’ipotesi di toglierne al Carroccio, in caso di exploit di Fi, incontrerebbe il muro di Matteo Salvini. Chi conosce Meloni giura che non sarà questa la strada percorsa. No: meglio qualche nuovo innesto laddove indispensabile.
Ed ecco che si torna alle caselle che potrebbero rimanere vuote nei prossimi mesi. Quella di ministro del Turismo, se Santanché si dimetterà: un’ipotesi che l’esponente di FdI ha ammesso di considerare solo in caso di rinvio a giudizio. Poi c’è il capitolo commissario europeo. Che potrebbe far migrare altrove Raffale Fitto. Ma si fanno i nomi anche del titolare di Imprese e Made in Italy Adolfo Urso e di quello dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Uno di loro potrebbe far parte del prossimo governo Ue. E in quel caso, la sostituzione sarebbe inevitabile (ma concordata con gli alleati).
Infine, la partita dei sottosegretari. In questo caso, di posti da riempire già ce ne sono: quello lasciato vuoto da Vittorio Sgarbi al ministero della Cultura e quello – sempre che sia riassegnato – di Augusta Montaruli all’Istruzione, anche lei dimessasi pochi mesi dopo l’avvio della legislatura. Difficile pensare che si vada oltre.