C’è un episodio della Grande Guerra che ha segnato per sempre il monte Cimone: lo scoppio di una mina austroungarica lungo la trincea italiana di prima linea che il 23 settembre 1916 ha causato la morte di 200 soldati italiani e ha mutilato la vetta del monte creando una voragine.
Uno dei fatti più tragici del Primo Conflitto Mondiale, su cui tanto si è scritto e tanto rimane da scrivere, se c’è la volontà di togliere lo strato di terra e di vegetazione che ha coperto la linea di difesa italiana.
Volontà che per la Provincia di Vicenza significa memoria storica, per questo ha messo a disposizione 15mila euro per finanziare il progetto di recupero della trincea, in collaborazione con il Comune di Tonezza e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
Ed è stato proprio il presidente della Provincia Andrea Nardin questa mattina a raccontare la genesi del progetto, con il sindaco di Tonezza Franco Bertagnoli e Paola Salzani della Soprintendenza. Con loro lo storico Manuel Grotto, consulente del progetto, e l’archeologo Michele De Michelis.
“Lo scorso aprile -spiega il presidente Nardin- ero a Cima Neutra per la cerimonia di fine lavori del recupero di un piccolo cimitero dove venivano tumulati i caduti del Cimone durante la Grande Guerra. Nel sentiero che da Cima Neutra porta all’Ossario del Cimone, con lo storico Manuel Grotto e con il sindaco Franco Bertagnoli abbiamo ripercorso la storia vissuta da questi luoghi, con la consapevolezza di camminare sopra alla trincea di prima linea. Un luogo ricco di storia e dal forte impatto emotivo, per questo ci siamo subito messi al lavoro con un progetto che intende portare alla luce nuovi particolari, rendendo al contempo omaggio alle vittime della guerra, con la speranza di poter dare ai resti un nome e un cognome.”
L’indagine interessa il crinale ovest che sale alla vetta di monte Cimone, che nel 1916 era occupato dalla trincea di prima linea italiana: un tratto di circa 100 metri lineari su pendio ripido e attualmente forestato. Si prevede di rimuovere i detriti fino ad una profondità di due metri, tanto quanto è lo strato depositato dall’esplosione della mina. Lì sotto sono conservate la linea e una postazione di mitragliatrice che risulta da rilievo austroungarico. E ci sono anche i resti dei caduti rimasti sepolti all’interno della trincea, dei quali potrebbe essere possibile l’identificazione dopo oltre un secolo dalla loro scomparsa.
Un progetto dal valore storico ed emozionale indiscusso, che darà l’esatta lettura delle vicende storiche e umane che hanno interessato il monte Cimone, a conferma o smentita dei dati registrati dalle fonti finora disponibili.
“Grazie alla metodologia utilizzata -sottolinea l’archeologa Salzani- sarà anche il primo caso nel vicentino di Archeologia del Conflitto. Verranno infatti eseguite operazioni di documentazione archeologica in una “capsula del tempo”, ossia la scena immutata di uno degli eventi più drammatici della storia locale, con analisi su oggetti materiali e resti umani. Corpi che non sono più semplicemente numeri, ma che diventano individui e raccontano una storia, di vita e di morte.”
Il progetto sarà realizzato grazie ad un lavoro di squadra che vede capofila il Comune di Tonezza, la Provincia di Vicenza a supporto, la Soprintendenza esecutore tecnico e scientifico. Fondamentale sarà però anche la collaborazione di associazioni e appassionati che, sotto la guida della Soprintendenza, potranno coadiuvare le operazioni con adeguata metodologia scientifica.
I lavori verranno eseguiti in primavera ed è volontà comune che il cantiere sia aperto alle visite, anche e soprattutto da parte delle scuole, per sensibilizzare da un lato al tema della Grande Guerra, dall’altro per avvicinare al mondo dell’archeologia e al metodo di lavoro scientifico.
Al termine delle operazioni, un tratto della trincea sarà ripristinato e musealizzato, rendendo il monte Cimone un museo all’aperto. Un tassello fondamentale dell’Alta Via della Grande Guerra delle Prealpi Vicentine.
Contesto storico
Il contesto storico vede il Cimone, come tutte le montagne limitrofe, teatro di violenti scontri tra italiani ed austroungarici nella primavera del 1916 durante l’offensiva denominata “Strafexpedition” (Spedizione punitiva).
Gli imperiali a fine maggio raggiunsero il fondovalle Astico conquistando Arsiero, ma non riuscirono ad oltrepassare il ponte degli Schiri, a seguito di una disperata difesa da parte italiana.
Esaurita l’offensiva gli austriaci ripiegarono sul Cimone nella cosiddetta “Winterstellung” (Linea di difesa invernale) e, sfruttando posizioni dominanti, trasformarono il monte in un baluardo praticamente inespugnabile.
Il 23 luglio, con un’impresa incredibilmente ardua, gli alpini vicentini del Battaglione Val Leogra scalarono le rocce del versante sud e riconquistarono la cima del monte.
I salisburghesi del 59° Rainer, reparto d’elite dell’esercito imperiale, tentarono più volte di riconquistarla senza riuscirci. Decisero pertanto di far saltare in aria la prima linea italiana sul monte, posizionando in due camere di scoppio pazientemente scavate ben 14.200 Kg di esplosivo, che deflagrò alle ore 5:45 del 23 settembre 1916 facendo saltare la vetta.
Un’ora prima era avvenuto il cambio tra gli alpini del Battaglione Val Leogra e il Primo battaglione del 219° Reggimento fanteria della Brigata Sele. Questi fanti, appena giunti in linea e quindi intenti nella dislocazione del reparto, furono investiti dallo scoppio.
La prima linea italiana iniziava a sud presso le rocce a picco sulla Val d’Astico, arrivava sulla cima e discendeva in direzione nord verso la Val di Riofreddo, collegandosi all’allora ex avamposto 5 austriaco. L’esplosione venne sincronizzata in modo da far piovere il materiale di risulta verso questo ultimo tratto, realizzato in pendenza. La prima linea in corrispondenza della cima venne polverizzata con i suoi occupanti, il tratto di linea verso nord completamente coperto del materiale piovuto dalla cima.
L’assalto austriaco scattato pochi minuti dopo la mina portò alla cattura di circa 400 fanti della Sele che, acquartierati in zona riparata verso ovest, furono impossibilitati a ritirarsi. Pertanto da una stima sommaria, dei circa 250 fanti in prima linea (coinvolti dallo scoppio) 150 dovevano presumibilmente trovarsi nel tratto esploso e un centinaio nel tratto sommerso dai detriti.